BIG BROTHER OR BIG DATA?

AUTHOR: MARCO A. FUSARO

Language: Italian

I c.d. big data sono uno degli elementi essenziali della rivoluzione digitale che sta trasformando ogni giorno il modo di imparare, comunicare e vivere nella società del XXI secolo. Ma cosa sono? E come mai hanno attirato l’attenzione dei media e, adesso, quella dei decisori di Bruxelles?

Con il termine di big data ci si riferisce all’insieme di tutte quelle tipologie di dati e volumi di dati prodotti da persone, sensori o macchine, contenenti informazioni di ogni tipo, immagini, video, compresi i segnali provenienti dai GPS. Si tratta, come si può capire, di miliardi di miliardi di dati prodotti, presenti in decine di motori di ricerca, in centinaia di migliaia di database e in milioni e milioni di pagine Internet e pagine URL: essi semplificano molte delle nostre attività quotidiane, lavorative e non. Soprattutto, hanno avuto il merito di rendere accessibili a tutti, indistintamente, dati e informazioni che fino a 10 anni fa erano non trasferibili e non raggiungevano gran parte della popolazione.

Ciò detto, nonostante la diffusione dei big data sia uno strumento che offre inestimabili opportunità, pone anche delicate questioni che riguardano temi quali la sicurezza e la privacy, soprattutto quando si tratta della loro gestione da parte di aziende private. C’è molto scalpore se la NSA spia il cellulare della Cancelliera tedesca Angela Merkel, ma difficilmente ci si stupisce se ogni giorno le grandi piattaforme come Google e Facebook prendono ed utilizzano i dati degli utenti per fini commerciali.

Andando nel dettaglio, secondo uno studio della Commissione europea, il 73% dei cittadini dichiara di preferire dare l’approvazione specifica prima che i propri dati personali vengano utilizzati o diffusi. Questo sondaggio conferma una volta di più il fatto che la fiducia e la tutela dei dati privati è elemento prioritario per il consumatore.

Per questo motivo le istituzioni europee e i suoi decisori hanno davanti la difficile sfida di trovare un giusto equilibrio tra la libera diffusione – su cui si è già espressa la Corte di Giustizia europea, nel recente e rumoroso caso “Safe Harbour” – e la possibilità di analisi e utilizzo dei dati, soprattutto quando sono in possesso di compagnie private, in maniera da prevedere un quadro normativo fatto di standard comuni e uniformi a livello europeo che ne garantiscano una protezione trasparente.

Le istituzioni europee si stanno muovendo in questa direzione. La Commissione ha difatti previsto un pacchetto di riforme sulla protezione dei dati, da varare possibilmente entro la fine del 2015, sulla base di alcuni principi chiave: garantire al mercato digitale uno stesso level-playing field (cioè pari opportunità), con regole chiare e uniformi, tutelare i cittadini-consumatori garantendo più trasparenza e maggiori informazioni, aprire il mercato alle start-up innovative e ad alto contenuto tecnologico. Saranno regole che valide anche per aziende non europee, garantendo così un quadro normativo competitivo a livello globale.

La direzione intrapresa sembra quella giusta. Se i big data saranno uno dei cardini della Terza Rivoluzione industriale, quella digitale, come sostiene Jeremy Rifkin, celebre sociologo ed economista americano, allora occorre una regolamentazione chiara e precisa a livello europeo che tuteli la privacy e i diritti dei cittadini-consumatori.

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