Fallimento dei paesi UE o dell’UE Politica?

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Author: Marcello Pellicelli
Language: Italiano

In seguito agli attentati del 22 Marzo a Bruxelles uno dei temi dominanti e più ricorrenti nel profluvio di articoli e analisi che ne sono seguiti ha riguardato il Belgio: è uno Stato fallito?
Se si prendono in considerazione i principali indicatori di benessere e qualità della vita, come longevità media, qualità dell’istruzione, Indice della Felicità delle Nazioni Unite, nel reddito pro-capite, emerge che il Belgio è costantemente nelle migliori posizioni, con risultati migliori di buona parte dei paesi più “avanzati” in tutte le classifiche prese in considerazione.1
Anche volendo limitare il discorso all’Unione Europea è doveroso sottolineare che il terrorismo islamico ha una dimensione transnazionale e ormai globale, come purtroppo testimoniano i tragici attentati di San Bernardino negli Stati Uniti e prim’ancora dell’11 settembre, limitando la nostra analisi ai soli paesi occidentali. Ne consegue che la domanda “E’ uno Stato fallito?” è  inadeguata o fuorviante.  La sfida del terrorismo islamico da ormai diversi anni si configura come una “guerra asimmetrica”: un movimento terroristico globale vs governi locali, nel migliore dei casi nazionali.2

Che il Belgio sia uno Stato con dei problemi è innegabile: tuttavia anche altri paesi ben più forti hanno avuto grossi problemi nel far fronte ad attacchi terroristici della medesima matrice fondamentalista, con medesimi risultati fallimentari. Non si tratta dunque del fallimento di uno Stato piuttosto che di un altro, ma forse dell’Europa come insieme (e in senso più largo, dei paesi occidentali) e può essere visto come un fallimento prima di tutto politico. La dimensione globale del problema richiede che le soluzioni si trovino in dimensioni politiche ed istituzionali superiori alle mere entità nazionali.2,3
Tuttavia è pur vero che il Belgio si trova in una situazione molto peculiare e problematica (come testimoniano le continue diatribe tra organi istituzionali dei vari livelli e non solo, ad esempio il caso della riapertura dell’aeroporto di Zaventem o l’ultimo sciopero dei controllori di volo). Per quanto piccolo esso sia, si contraddistingue per una frammentazione istituzionale molto marcata che deriva dalla sua particolare storia; e che in un paese così piccolo vi siano due lingue ufficiali (in realtà sono addirittura tre, non si considera la comunità linguistica tedesca perché molto circoscritta) indubbiamente non ha agevolato la costruzione di un sentimento unitario.3,4 Da questo punto di vista credo che tale difficoltà dovrebbe far riflettere i policymaker europei sui progetti di costruzione di un’Europa politicamente più forte di quella di oggi: la questione linguistica è e sarà un tema centrale che richiederà delle soluzioni che tengano conto che un eccesso di frammentazione linguistica creerà dei problemi, fatte le dovute proporzioni, proprio come li ha creati al Belgio. La costruzione di un’Europa sociale e culturale riconoscibile e in cui i cittadini europei possano identificarsi non dovrebbe prescindere da una maggiore integrazione linguistica.

Ancora più gravi sono le ripercussioni di tale frammentazione dal lato dell’organizzazione e del coordinamento delle forze di intelligence e delle Forze dell’Ordine e di Polizia. Anche in questo caso si può ravvisare, in parallelo, una difficoltà simile a livello europeo. Come da più parti è stato osservato e sollecitato, è giunto il momento che la Commissione Europea e il Consiglio Europeo prendano decisioni tempestive e forti volte ad una unificazione o almeno ad un maggior coordinamento ed una maggiore cooperazione tra le diverse forze dei vari paesi, al fine di condividere informazioni e affrontare in un modo più integrato ed organico la sfida del jihadismo globale.2 .

Ritornando alla situazione del Belgio tuttavia tanto la capacità delle forze di intelligence quanto le politiche di integrazione vantano una esperienza importante ed operano egregiamente, in rapporto alle risorse di cui dispongono4,5. Risultano più problematiche le frammentazioni istituzionali interne e le conseguenti difficoltà ed inefficienze comunicative delle forze in campo nonché la scarsità di risorse e di investimenti, sia sul fronte della sicurezza che su quello dell’integrazione. Insomma, il problema è prima di tutto di natura politica. Lo dimostrano le affermazioni in questo periodo di vari esponenti politici.  Bart De Wever leader del partito N-VA e sindaco di Antwerp dice  “Unfortunately, Europe is developing into a large Belgium, instead of Belgium developing into a smaller Europe6. Citando Emma Bonino invece: “È un’Europa i cui membri sembrano non capire in che mondo viviamo e a quale velocità è cambiato il mondo intorno a noi. È dunque una Europa che è rimasta a metà del guado, senza una politica estera né una politica di difesa e sicurezza comune e anche meno per ciò che concerne l’integrazione interna. Partendo da questa amara quanto realistica constatazione, trovo davvero stucchevole l’invocazione ad una intelligence comune, specie quando questa viene evocata da coloro che hanno fatto di tutto fino ad ora per impedirla” . Inoltre aggiunge la Bonino: “Il problema è l’Europa, così come è scritta, modellata nei Trattati, e come gli egoismi degli Stati membri l’ha voluta, per cui, restando al tema, la sicurezza europea, sia sul fronte interno che su quello esterno, resta ancora tenacemente, testardamente, nazionale. Se non abbiamo un’Europa più politica, un’Europa della sicurezza, della politica estera e di difesa, noi rincorreremo sempre le emergenze, con l’idea che ogni Paese che fa da sé fa meglio, quando questa si sta dimostrando un’assoluta, tragica illusione7 .”
Dalla propria pagina Facebook Guy Verhofstadt invece invoca un’azione decisa da parte della Commissione Europea:”Our leaders seem stuck in the failed policies of ‘better coordination’…I therefore call on the European Commission to go further in its legislative proposals.”
Infine secondo Elio Di Rupo:”È impossibile prendere decisioni difficili e coraggiose. Alla fine l’accordo è al minimo denominatore comune, come accaduto con l’intensa con la Turchia. Ha ragione il premier Renzi, si deve tornare al nucleo originario. Dobbiamo pensare a un’Europa a cerchi concentrici: un nucleo con sette-dodici Paesi con obiettivi comuni e gli altri uniti nel mercato unico.”

Dalla caduta del muro di Berlino in poi si sono spalancate le porte ad un capitalismo globalizzato senza precedenti nella storia dell’umanità. Pochi anni dopo è iniziata la rivoluzione digitale e improvvisamente il mondo è diventato molto più  veloce. Gli equilibri geopolitici consolidati per decenni dalla guerra fredda sono venuti meno e stiamo vivendo un periodo di riconfigurazione dei rapporti di forza di un mondo che mai prima d’ora è stato così globale, interdipendente ed interconnesso. Peraltro in un contesto di mutamenti climatici che si riverberano in modo imprevedibile su più parti del globo. Le tensioni demografiche, sociali, economiche e politiche sono elevate e i cambiamenti si susseguono a una velocità impressionante. Dato questo contesto, la paralisi delle istituzioni europee e l’incapacità di mutamento delle proprie forme di governance per far fronte alle nuove sfide che abbiamo davanti rappresentano una minaccia gravissima per l’Europa stessa e per tutti i cittadini europei. Terminando vale la pena ricordare le parole di Charles Darwin: “Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.”
E’ quantomai urgente che i policymaker europei prendano coscienza non tanto delle difficoltà del mondo in cui viviamo, cosa di cui confidiamo si rendano conto, ma che mai come oggi è urgente concretizzare i cambiamenti, per necessità adattive ai rapidi ed incessanti mutamenti del mondo di oggi, delle istituzioni europee nel senso di un’Europa più forte, unita e solidale. Ne va della nostra sopravvivenza.

  1. Il Belgio: ma quello non è uno Stato fallito! di Federico Rampini
  2. La Commission doit avoir la capacité de protéger l’Europe di Antonio Longo
  3. Il Belgio è uno stato fallito? – Il Post
  4. My journey through Molenbeek – POLITICO – by Matthew Levitt
  5. Why Belgium is not Europe’s jihadi base – POLITICO – by Thomas Renard
  6. Postcard from a Failed State? – Spiegel Online
  7. Terrorismo – Bonino: “L’Europa è ferma alle nazioni. Così rincorrerà sempre l’emergenza”
  8. Di Rupo: «Il Belgio non è fallito. C’è libertà totale, per questo è fantastico”

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