Prossima fermata: Londra?

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Author: Margherita Maspero

Language: Italian

Aneddoti in ordine sparso di un’italiana a Londra.

Maggie in LondonlandDi solito, “Maggie in Londonland” lo scrivo sulla metropolitana. Tra mattina e sera mi ritrovo a spendere un’eternità di tempo sui mezzi pubblici, ore e ore ‘regalate’ in cui posso solo leggere, scrivere o osservare la gente intorno a me, impegnandomi a non incrociarne mai lo sguardo (prima regola non scritta della London Underground).

Questa settimana, però, avevo anche un’altra preoccupazione. Dopo i tragici eventi di Parigi di venerdì scorso, mi sono ritrovata ad affrontare il pensiero, la paura che qualcosa di molto simile possa accadere anche a Londra (del resto, l’ha annunciato lo stesso gruppo terroristico che ha rivendicato gli attentati di Parigi: le prossime della lista sono Washington e Londra). Tornano immediatamente alla mente gli attentati nella metropolitana del luglio 2005, quando delle bombe esplose su treni nei pressi delle stazioni di Liverpool St, King’s Cross e Paddington causarono più di 50 morti nella capitale inglese.

Così, senza rendermene conto, finisco a guardare di soppiatto questo o quel tipo, cosa ci sarà sotto quel burqa, ma quella valigia di chi è, e oddio quanto è pieno ‘sto treno, saltasse in aria adesso quanti morti ci sarebbero? Io mi salverei?

La mente vaga, si spaventa, fa pensieri brutti di cui immediatamente si vergogna, per poi rifarli di lì a 10 minuti, alla fermata successiva (la District Line è orribilmente lenta al mattino…). Ma non basta: nei pochi barlumi di lucidità tra un attacco di fobia e l’altro, mi ritrovo ad improvvisarmi statista, Premio Nobel per la Pace, capo della NATO o segretaria dell’ONU. Con tutto l’acume di cui sono capace alle 8 di mattina in un vagone della metro stipato tipo carro bestiame, mi cimento in progetti e risoluzioni del conflitto; sulla base di articoli leggiucchiati e mezze frasi lette sui profili Facebook di qualche conoscente, pianifico coordinamenti di nazioni di cui fino a ieri ignoravo completamente l’esistenza. Piani perfetti, a cui nessuno ha ancora pensato, che sistemeranno una volta per tutte il casino in Medio Oriente.

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Mi è anche successo di assumere atteggiamenti stranamente patetici (nel senso greco del termine…). Quello che mi spezza il cuore è il pensiero che ragazzi e ragazze cresciuti nel Regno della Regina (o in Francia, Italia, Belgio, Stati Uniti…) possanocoscientemente decidere di fare del male al paese in cui sono cresciuti. Non si sentono a casa qui? Non hanno avuto compagni di classe, maestri, dottori, professori inglesi, occidentali? Davvero qualche stronzo sanguinario conosciuto su Twitter ha più presa sulla loro anima di tutte le esperienze vissute in questo paese, in questa società? Ma poi, anche lì, mi freno, mi ammonisco da sola, dicendomi che il paese che hanno conosciuto loro potrebbe essere molto diverso da quello che ha accolto me, nonostante tutte le battute su mafia, pizza e Berlusconi. E si badi bene, anche durante questi forzati tentativi di cambio di prospettiva, non cerco MAI di trovare scuse per il terrorismo. Giustificare la violenza è inammissibile. Tuttavia, cercare di comprenderne le cause è doveroso, se non altro per non peggiorare la situazione ancora di più.

Nelle mattine in cui mi sento particolarmente propensa all’introspezione, si innesta anche il senso di colpa per non sentirsi così affranti da tutte le tragedie che capitano in paesi leggermente più lontani da noi. Come ha detto Crozza l’altra sera a Ballarò, mi accorgo di appartenere alla categoria di quelli che piangono “solo le città di cui [hanno] un souvenir attaccato sul frigo”. E l’aereo russo? E gli attentati di Beirut? E gli studenti trucidati in Kenya…? Non c’è una risposta. C’è solo senso di colpa, e la volontà di migliorare il mio senso di empatia nei confronti di persone che parlano una lingua che non capisco o hanno abitudini che non conosco.

Alla fine, quando sto per scendere dal treno (nonostante tutto, incolume…), mi viene anche da sorridere al commento di mia sorella in Italia: “Maggie, non hai paura a prendere la metro? Non è che potresti andare al lavoro in bici?”. Sè, così le probabilità di finire ammazzata (magari sotto a un bel double-decker come quello del mio logo) si impennano vertiginosamente. Ma no, va beh, preferisco la minaccia bomba in metropolitana.

Tutti pensieri da uomo (o donna, in questo caso) bianca che si sente minacciata nella sua sicurezza – fisica – , e nelle sue sicurezze – ideologiche. Ma infondo Londra se ne fotte delle tue paranoie. La gente è sempre troppo di fretta, troppo stipata nei vagoni, troppo indaffarata per potersi permettere di farsi paralizzare dall’odio e dal terrore. E a conti fatti, potrebbe essere un bene…

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