Russia-UE-Nato: la continua percezione della minaccia da dove deriva?
AUTHOR: SERGIO URUSSOV
Language: Italian
photo credit by Brian Jeffery Beggerly
Le relazioni tra Mosca e l’Unione Europea sono entrate in una fase di rinnovate tensioni in concomitanza con le fasi più critiche della crisi ucraina, e da allora la loro intensità non accenna a diminuire. Il rinnovo delle sanzioni, le divergenti strategie riguardo la Siria, il ruolo della Turchia, membro NATO, e le storicamente tormentate relazioni tra quest’ultima e la Russia non hanno favorito una distensione, quanto piuttosto un deterioramento ulteriore dei loro rapporti.
Facciamo un passo indietro per meglio comprendere la natura delle tensioni apparse negli ultimi anni. Anche se si tende a dimenticarlo, durante il secondo mandato di El’cin e il primo di Putin, l’atteggiamento della Russia verso l’Occidente era molto differente. Con l’adesione al modello liberal-democratico, del quale Putin era all’epoca considerato come il miglior interprete che la Russia potesse offrire dopo la turbolenta fine del secondo mandato di El’cin, la Russia, dopo cinquant’anni di Guerra Fredda, sembrava finalmente in procinto di integrare l’asse euro-atlantico e il nuovo sistema internazionale emerso dallo smantellamento dell’Unione Sovietica, e non era raro sentire Putin parlare della Russia come parte integrante dell’Europa Occidentale e auspicare un suo ingresso nella NATO. Molte cose sono cambiate da allora. La brusca fine di questa (breve) luna di miele è dovuta al retaggio ideologico e geopolitico dell’era sovietica e ad una lettura forse superficiale[1] da parte dello stato maggiore europeo su identità e ruolo della Russia nelle relazioni con UE e NATO. Il recente invito fatto al Montenegro ad entrare a fare parte della NATO segna una nuova tappa nelle movimentate relazioni di quest’ultima con la Russia.
Nonostante le lungaggini del processo di adesione non permettano di sapere quando effettivamente il Montenegro diventerà membro a tutto gli effetti, si tratta del 29esimo Stato parte dell’Alleanza. L’invito darà diritto allo stato maggiore montenegrino di partecipare in qualità di osservatore alle prossime riunioni e si tratta di un significativo passo avanti verso l’adesione che potrebbe avvenire tra circa un anno (in funzione di come si svolgeranno le future negoziazioni) e che dovrà essere ratificata da tutti i membri. La questione dell’allargamento dell’Alleanza è al cuore della politica estera russa attuale. L’architettura del discorso politico russo riguardo la NATO si basa su due piloni indissolubili e in rapporto simbiotico tra di loro che sottostanno alla visione di Mosca della sua politica estera e securitaria:
- in primo luogo, una teoria avanzata da Marie Mendras, fa riferimento a una «sindrome da stato di assedio permanente» («besieged forteress syndrome»)[2]
- in secondo luogo, la percezione della porosità delle proprie frontiere e la difficoltà (russa) di stabilire una volta per tutte quali siano i propri limiti (nel quadro geopolitico dello smantellamento dell’Unione Sovietica) dà luogo ad un sentimento («existential threat») di vulnerabilità.
Questa visione (parziale) permette di comprendere meglio e contestualizzare l’ostilità (apparente ed effettiva) della politica estera russa e del “mito” della sicurezza ottenuta tramite l’espansione.
Secondo Vladislav Surkov, ideologo del regime russo negli anni 2000 che ha ricoperto diversi incarichi nell’amministrazione presidenziale e governamentale dal 1999 al 2013, l’espansione è il miglior modo di garantire la propria sopravvivenza in questo tumultuoso inizio del XXI[3] secolo. È importante tenere a mente che si tratta di supposizioni e che non è nostra intenzione alimentare certe tendenze russofobe che danneggiano prospettive eventuali di cooperazione futura che gioverebbero non soltanto agli scambi economici intrattenuti dalle due controparti[4] [5] ma servirebbero anche ad appianare il clima politico europeo esarcebato da tendenze nazionalistiche, alcune delle quali sembrano ricalcare il modello putinista, che rischiano in un futuro molto prossimo di polarizzare ulteriormente il dibattito politico europeo anche sulla questione russa. Resta il fatto che tale quadro politico favorisce una certa visione politica tutt’altro che antagonista al progetto dell’attuale Presidente russo. La teoria della sopravvivenza di Surkov non riguarda soltanto la Russia politica, bensì una visione del mondo russofono che si estende ben al di là delle attuali frontiere russe. Si tratta di una visione etnico-culturale della sua (presunta) popolazione. Uno dei pilastri (ideologici, ma per le cui applicazioni sul campo non si è dovuto attendere molto) della politica estera russa in era post-sovietica è stato «la protezione delle popolazioni russe e russofone situate al di là dei confini russi in seguito allo smantellamento dell’Unione Sovietica»[6]. Vedasi l’annessione della Crimea e il supporto russo alle regioni separatiste di Luhans’k e Donec’k. Politici ed ideologi russi della coorte putiniana non hanno esitato a tirare in ballo il controverso e tutt’ora molto discusso concetto di diritto internazionale di «responsability to protect» per giustificare tali (ingiustificabili, secondo il diritto internazionale) ingerenze. Tutti questi elementi sfociano su una visione quanto meno complessa su cosa aspettarsi dalla Russia e su come eventualmente riallacciare dei rapporti che vadano al di là della questione del rifornimento energetico. Un’opinione che fa molti proseliti ad ovest delle frontiere russe è quella seconda la quale il cosiddetto empire-building e l’espansionismo militare siano delle caratteristiche intrinseche alla “natura russa”. Si tratta però di una visione quantomeno semplicista.
Nonostante si possa affermare ci sia una certa predisposizione all’avventura militare oltre frontiera da parte della Russia, essa non è certo una caratteristica singolare ed è riscontrabile nella storia di molti (se non tutti i) Paesi nel corso della storia. D’altro canto bisogna considerare che «l’Occidente» è sempre stato considerato da Mosca, dal periodo zarista fino ai giorni nostri, come una forza destabilizzante alla quale opporre resistenza. Ci sembra corretto affermare dunque che vi sia una continuità, non tanto nella persistenza di una fantomatica caratteristica imperialista, quanto piuttosto nel perdurare di divergenti obiettivi strategici di lungo termine nella regione in seno ad entrambe le fazioni.La forte reazione verbale di Mosca[7] all’invito fatto al Montenegro non deve dunque sorprendere. Tuttavia il Montenegro non è la Georgia (o l’Ucraina), la cui adesione è per il momento lasciata in sospeso per un periodo di tempo indeterminato[8], e la Russia non andrà probabilmente oltre qualche blanda minaccia e un eventuale inasprimento della sua retorica anti-NATO.
[1] Secondo Andrew Monaghan, l’utilizzo dei vecchi schemi dicotomici (molto popolare in questi giorni), utilizzati durante la guerra fredda, per caratterizzare questa fase storica di relazioni Occidente-Russia, oltre ad essere controproducente non ha fondatezza politico-storica. «The ‘new Cold War’ debate traps Western thinking about Russia in the 20th century. It reflects, and encourages, a dangerous tendency on the part of politicians and military strategists to prepare for past wars. It also offers a misleading sense of familiarity and predictability about Russia that does not take into account either the different international situation today or Russian adaptability to changing geopolitics»
MONAGHAN, Andrew; A ‘New Cold War’? Abusing History, Misunderstanding Russia (disponibile all’indirizzo:
https://www.chathamhouse.org/publication/new-cold-war-abusing-history-misunderstanding-russia )
[2] MENDRAS, Marie; The Rising Cost of Russia’s Autoritharian Foreign Policy in Margot Light & David Cadier, eds., Russia’s Foreign Policy: Ideas, domestic politics and external relations, Basingstoke: Palgrave, 2015.
[3] FEDOROV, Yury E.; Continuity and change in Russia’s policy toward Central and Eastern Europe; Communist and Post-Communist Studies; 46; 2013; pp. 315–32
[4]http://www.repubblica.it/esteri/2015/06/19/news/russia_con_le_sanzioni_a_putin_l_europa_brucia_100_miliardi-117192769/?ref=search
[5]http://www.repubblica.it/esteri/2015/06/19/news/sanzioni_russia_caccia_oligarchi-117208950/?ref=search
[6] Più precisamente: «ensuring comprehensive protection of rights and legitimate interests of Russian citizens and compatriots residing abroad, and promoting, in various international formats, Russia’s approach to human rights issues» e «promoting the Russian language and strengthening its positions in the world, disseminating information on the achievements of the peoples of Russia and consolidating the Russian diaspora abroad». Concept of the Foreign Policy of the Russian Federation del 12 febbraio 2013, disponibile all’indirizzo: http://archive.mid.ru//brp_4.nsf/0/76389FEC168189ED44257B2E0039B16D.
[7] Secondo un articolo della BBC, una portavoce di Putin avrebbe parlato di non ben precisate azioni di rappresaglia in caso di adesione del Montenegro alla NATO. Disponibile all’indirizzo: http://www.bbc.com/news/world-europe-34981973
[8] La sospensione del suo processo di adesione non è certo casuale e, dato l’attuale stato delle relazioni Occidente-Russia, la situazione rimarrà probabilmente in stallo a lungo. Nessuno dei membri né l’Alleanza stessa sono aperti al ripetersi di uno scenario simil-ucraino. http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=62197