La differenza tra numeri e fantasie politiche ? Il risultato italiano. (II° parte)

“La differenza tra numeri e fantasie politiche ? il risultato italiano in numeri economici.”

Language: Italian
Author: DAVIDE LORENZETTO (leggi altri articoli dal S24H)

Alla memoria di Antonio Megalizzi

Vi ricordate l’ultima volta che vi hanno raccontato una favola? Molti di voi diranno che è stato tanto tempo fa. Io credo che al massimo sia passata invece qualche settimana. Infatti la nostra mente è per statuto “narrativa”: ragioniamo più volentieri per storie (con trame e personaggi) che per concetti (con astrazioni e numeri). Ecco perché ci facciamo raccontare volentieri le notizie, anche economiche, come fossero storie. E come tutti sappiamo, in ogni storia che si rispetti ci sono i buoni (l’eroe) e i cattivi (l’antagonista). C’è Luke Skywalker e Dart Fener, c’è Beep Beep e Wile Coyote. La manovra di bilancio 2018 del governo italiano, il 20 dicembre u.s. (vd. Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera) ci è stata raccontata proprio così, come una battaglia tra Commissione Europea e Governo Italiano, tra il “vincolo esterno” e la “volontà del popolo”.

I media hanno raccontato l’evoluzione della “legge finanziaria” come un duello tra i tre moschettieri da un lato (Conte, Di Maio, Salvini) e il cardinal Richelieu e il conte di Rochefort dall’altro (Junker e Moscovici). Tutto inizia con un balcone e i pugni al vento e prosegue mostrando il petto scoperto. Gli uni che giurano «me ne frego», «non cediamo di un millimetro», gli altri (i “guardiani dell’ordine costituito”, refrattari al “cambiamento” e “sordi ai bisogni del popolo”), replicano con «pacta sunt servanda», «non trattiamo con i venditori di tappeti». Nel frattempo le perdite sono sanguinose: spread italo tedesco a 330 e asta “BTP Italia” deserta. Urge nuova strategia. Ed ecco il punto di svolta: una cena nella tana del lupo, che doveva essere una specie di imboscata, e si è dimostrata in realtà l’inizio di una conversione; come l’incontro al castello tra fra’ Cristoforo e l’Innominato. Nel frattempo, un imprevisto clamoroso quasi come la peste manzoniana: i Gilet Gialli francesi (la rivolta del popolo) abbattono lo scudo energetico della Morte Nera permettendo ai caccia interstellari di penetrarvi e ricacciare l’Impero. Il quale è sconfitto ma non annientato, e tornerà minaccioso, verso marzo, sotto il nome di Primo Ordine.

Ecco, ci siamo divertiti a raccontare l’economia così, come un romanzo o un film. Una trama pop. Anche a noi le storie piacciono, particolarmente quelle che abbiamo implicitamente citato. Ma il bello dell’economia è che ti costringe a piantarti nella realtà, a fare quel bagno di realismo chiamato “vincolo di bilancio”. Ecco perché, per giudicare la Legge di Bilancio 2019, siamo costretti a leggere i numeri scolpiti nel “trattato di armistizio” mandato da Roma a Bruxelles. I numeri li abbiamo dettagliati in “allegato” [1] così come ha fatto il governo. Chi vuole spiegazioni e riferimenti delle affermazioni sottostanti può far riferimento anche al testo ufficiale della Legge di Bilancio 2019-2021.

Sulla base dei numeri e delle tabelle, al contrario delle dichiarazioni ufficiali è impossibile affermare che, dopo l’accordo con Bruxelles nella manovra tutto è rimasto come prima. In realtà, è cambiato molto, e quindi c’è stata una correzione anche delle politiche retrostanti. In sintesi: rispetto alla bozza iniziale diminuisce il deficit, aumentano le tasse, scendono gli investimenti. Ma dobbiamo evitare il topos “battaglia UE-Italia”, perché è figlio della nostra mente narrativa, che ha sempre bisogno di un nemico. Il vincolo non è l’Europa bensì il mercato, la realtà. Ben ha ricordato Sergio Mattarella il 19 dicembre che «l’Europa non è un vincolo esterno»; Antonio Megalizzi lo ha tragicamente testimoniato.

Il bilancio statale va letto perciò in base alla ripartizione di risorse tra i gruppi sociali nazionali. Ed è il governo stesso a farlo, pubblicando nella Legge di Bilancio l’allegato Bilancio Riclassificato (cf. pag. CCXLIX e ss. del testo ufficiale). Solo entro questi confini, si può giocare a “vincitori e vinti”, e far finta di trattare l’economia come una storia di eroi e di nemici. Ma lo facciamo con lo stile che è dell’economista, il quale non si prende la responsabilità di definire gli obiettivi politici, ma è in grado, leggendo un bilancio, di dichiararne l’intenzionalità implicita. Facciamo dunque il bilancio per sommi capi, che, come ogni bilancio, da una parte ha un “avere” (nero) e dall’altra un “dare” (rosso), e vediamo come sono stati spostati gli equilibri nazionali nella ripartizione delle risorse.

Guadagnano circa 350mila pensionandi. Non i pensionati, ma coloro che hanno tra i 60 e 64 anni, cui vengano regalati anni di pensione anticipata, mettendoli a carico dei più giovani. Si tratta di persone che hanno avuto un percorso lavorativo regolare (per lo più al Nord e come dipendenti pubblici), stipendi ben pagati e sono attualmente ancora attivi, date le aspettative di vita attuali.

Guadagnano (forse) gli “incapienti”. In questa categoria molto vaga ci sono tutti i beneficiari a diverso titolo del Reddito di Cittadinanza. Includere i meno fortunati è più che legittimo eticamente e sensato economicamente. Peraltro, anche il Reddito di Inclusione (REI) attualmente in vigore copre già una fascia di disoccupati e senza reddito. La nuova misura non è un vero reddito di cittadinanza bensì un assorbimento del REI e del sussidio di disoccupazione (NASPI). È difficile dire se il riordino dei sussidi cui il nuovo strumento mira avrà un saldo complessivo positivo sui beneficiari. Sul lato tecnico poi, le norme applicative e l’integrazione con altri sussidi abbisognano di molti caveat.

Guadagnano 200mila “Partite IVA”. Quelli che nel 2018 hanno guadagnato meno di 65.000€ avranno una flat tax al 15% (20% fino a 100.000€) su tutti i redditi del 2019, fossero anche 5mln di euro. La norma è scritta con questo “trucchetto” che esenta dal prelievo incrementale anche i redditi prodotti nel 2019 ben oltre la soglia dei 100.000€. [2]

Guadagnano alcuni risparmiatori. Vengono risarciti alcuni risparmiatori. Non ci piace chiamarli “truffati dalle banche”. Il tema “salvataggi bancari” andrebbe deideologicizzato, perché è imprescindibile mantenere stabile il sistema finanziario.

Guadagnano le neo-mamme: il bonus per asili nido sale – ma solo fino al 2021 – da 1000 a 1500€.

Perde la crescita economica. Il governo abbassa all’1% (-0,5%) la stima della crescita del PIL per il prossimo anno. La metà della media europea. Più verosimile lo 0,7%. La manovra aumenta la crescita solo dello 0,4% rispetto all’andamento “a saldi invariati”. Non si può tecnicamente considerare moltiplicativa perché il ritorno è solo di 0,2€ per 1€ di deficit in più. Come si dice poi alla voce “contribuenti”, l’impatto di decine di miliardi di nuove tasse già previste per i prossimi anni (per stabilizzare il deficit creato oggi) sarà sicuramente recessivo!

Perde la stabilità finanziaria. Usare la leva fiscale, a scapito del debito, ha senso se produce effettivamente un incremento del PIL. Invece non solo il PIL è boccheggiante, ma anche il debito pubblico scenderà (se non cambiano troppo gli scenari) solo dell’1%; ciò non permetterà di usare altro deficit in caso di ulteriori shock economici (che sono previsti a breve). Inoltre, tutte le riduzioni di spesa non sono veri tagli, bensì per lo più differimenti. Così come le coperture non sono strutturali, se non le nuove tasse a partire dal 2020.

Perde la produttività. Gli investimenti pubblici diminuiscono di 1mld rispetto a quanto stanziato nella manovra 2018 (e rimangono solo 740mln nel Fondo Investimenti Pubblici), e senza investimenti non si fa crescere la produttività. Meno produttività significa salari bassi oggi, e disoccupazione domani, causa perdita di competitività.

Perdono i contribuenti. Il governo per finanziare le spese correnti di quest’anno ha imposto circa 8 miliardi di nuove tasse (di cui 2,2mld a carico dell’industria, 4,3mld di banche e assicurazioni), e ha già impegnato 81 miliardi di clausole IVA nel prossimo trienno. Questo significa per certo nuove tasse o taglio delle spese di pari ammontare. È come iniziare il campionato partendo da “meno 15”.

Perde l’occupazione. Non esistono misure di incentivo consistente alle assunzioni (ad es. taglio del “cuneo fiscale”). Anzi, lo sconto IRES per nuove assunzioni viene eliminato. Per “compensare” i maggiori costi delle imprese vengono tagliate le aliquote INAIL, che però significa una riduzione della copertura per gli infortuni sul lavoro. Un problema oggettivo sul piano della tutela dei lavoratori.

Perdono i giovani. Mandare in pensione prima delle persone potenzialmente attive significa che si accumula ancora più debito ed onere pensionistico sui giovani. Dire che ci sarà un processo di sostituzione 1 a 1 tra pensionati e giovani è una previsione sballata di cui abbiamo già dato conto. Ma soprattutto: la povertà in Italia è più diffusa tra i giovani che tra i più vecchi. Se non ci sono misure specifiche per la formazione e l’inserimento lavorativo dei giovani è chiaro che la rotta non si inverte.

Perdono istruzione, ricerca, competenze. La scuola vede il suo budget ridotto del 10% (4mld in meno) nel triennio 2019-2021. Non ci sono investimenti in ricerca e università, tantomeno una politica industriale. I 100mln del “Fondo per il capitale immateriale”, stanziati per il biennio 2019-2020, vengono tolti. Dimezzato (da 100 a 50mln) il fondo per “Alternanza scuola-lavoro”. 100 mln in meno agli Atenei. Significa che altri giovani preparati e capaci, non trovando in Italia posti di lavoro all’altezza delle loro aspettative, andranno all’estero, come Antonio. L’unico piccolo incentivo alle Start Up tecnologiche viene dall’aumento della deducibilità degli utili lì investiti (dal 30 sale al 40%).

Perde il no profit. Vengono tolte le agevolazioni fiscali per le imprese del Terzo Settore: sono quelle che si occupano di poveri, disabili, anziani e servizi alle persone in generale. C’è una (lasciatecelo dire) gravissima implicazione etica in questa scelta, ma pure economica, perché il no profit tappa le falle del mercato, il quale “fallisce” nel coprire quel settore.

Perdono le imprese. Tagliati i finanziamenti Industria 4.0 (-1,5 mld di iperammortamenti su investimenti tecnologici). Vengono poi tolti alcuni sgravi fiscali agli investimenti privati materiali e immateriali, e soprattutto l’industria si accolla gran parte del carico fiscale aggiuntivo del 2019. Privilegiare i lavoratori autonomi inoltre, anziché le imprese medio-grandi, significa perdere produttività: solo le grandi imprese aumentano il tasso tecnologico dell’economia grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo e non certo le Partite Iva individuali.

Perdono i pensionati. Tutte le pensioni oltre i 1200€ netti mensili (non sono le cosiddette pensioni d’oro!) vedranno un taglio dell’adeguamento all’inflazione nei prossimi anni.

Perdono gli onesti. Dopo il condono fiscale già approvato, compare un ulteriore condono (“saldo e stralcio”) all’ultimo minuto. Ufficialmente per i meno abbienti. Difficile stabilire quando uno non paga le tasse per “sopravvivenza” o per frode. Sono state prorogate (senza aumento del corrispettivo) per 15 anni(!) le concessioni balneari che sarebbero invece dovute andare all’asta, e si sanano edifici abusivi costruiti lungo i litorali. Ciò costerà in termini di mancate entrate per lo Stato e anche una multa da parte dell’UE per violazione della concorrenza. E infine vengono regolarizzati gli operatori sanitari (infermieri, fisioterapisti, ecc.) privi di titolo di studio che potranno esercitare legalmente da ora in poi, con rischi, a nostro avviso palesi, per i pazienti.

Perde il Sud. 800mln di tagli riguardano i Fondi strutturali di coesione territoriale e anche 113mln di sconti fiscali IRAP destinati per le assunzioni e trasferimento tecnologico in imprese del Sud. In compenso alla sola Sicilia (sic) vengono abbonati 2mld di contributi dovuti allo Stato centrale.

Perde la massa dei risparmiatori. Vorremmo sbagliarci, ma lo spread non tornerà a quota 120 qual era il 4 marzo 2018. L’atteggiamento di sfida tenuto dal governo ha già provocato una enorme perdita finanziaria per le famiglie (vedi allegato e nostro precedente articolo).

Le battaglie dunque piacciono alla nostra mente narrativa. E facendo un bilancio tra perdite (goal subiti) e guadagni (goal segnati) si può decretare come è andata la partita. Quindi il risultato finale si può sintetizzare così: vince il passato e perde il futuro. Intelligenti pauca.

 

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[1] http://www.governo.it/sites/governo.it/files/Lettera_Conte-Tria_allegati.pdf.

[2]https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-12-27/la-flat-tax-allarga-divario-autonomi-e-dipendenti-tutto-vantaggio-primi-092522.shtml?uuid=AEEPLK5G&fromSearch

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Inoltre riguardo le fonti l’economista Davide Lorenzetto sottolinea che tutte le fonti da cui estrapoliamo le seguenti considerazioni sono le seguenti:

  • Legge di Bilancio 2019-2021

https://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2018/12/29/legge18-camera.pdf

  • Lettera con modifica della bozza di Bilancio inviata dal Governo italiano alla Commissione Europea

http://www.governo.it/sites/governo.it/files/Lettera_Conte-Tria_allegati.pdf

  • Relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio

http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2018/12/Flash_-3_2018.pdf

  1. Il deficit stimato per il 2019 è sceso – in modo un po’ pirandelliano – dal 2.4% del PIL al 04% (in realtà per i dati ufficiali è il 2%). Il che significa che la manovra resta a prima vista “espansiva”, perché, secondo una volgarizzazione della teoria economica keynesiana, dove c’è deficit c’è “espansione della domanda aggregata”. Ma sulla efficacia, durata, quantità e qualità dell’espansione, facciamo due conti. Anzitutto dicendo che in termini assoluti ciò significa si sono tagliati circa 10mld di deficit rispetto alla bozza iniziale (8,6 come riduzione vera e propria e 1,65 come nuove tasse).

  2. La stima di crescita del PIL 2019 scende dal 1.5% al 1%: si è calcolato in modo più realistico l’impatto delle misure sull’economia. È il problema più grave perché la manovra non risponde più al suo vero primo obiettivo dichiarato fin dal discorso di insediamento del governo Conte: agganciare un tasso di crescita in linea con la media europea. Se pensiamo che di fatto la crescita reale sarà più bassa, verosimilmente attorno allo 0.8% del PIL (secondo BankItalia e Ufficio Parlamentare di Bilancio) ci rendiamo conto che, il governo, per sua stessa ammissione, manca l’obiettivo di una crescita sostenuta ed adeguata. Peggio: a fronte di un deficit del 2% una crescita del 1% è molto modesta. In realtà, nella lettera vergata dal governo si ammette che l’impatto delle misure sul PIL è solo dello 0,4%. Significa un “moltiplicatore”, direbbero i keynesiani, di 0.2: cioè per ogni euro di spesa in più ottengo solo 20cent di reddito in più. Ciò è dovuto alla scomparsa delle “spese ad alto moltiplicatore”.[1] Quindi, a rigore, la manovra non è veramente espansiva, perché non “moltiplica” l’ammontare della spesa pubblica, cioè non la trasforma in crescita del PIL più che proporzionale. Anche considerando solo l’extra deficit della manovra (0,6%) rispetto al quello tendenziale “a saldi invariati” il risultato sarebbe sempre inferiori ad 1.
    [1] Con moltiplicatore si intende un meccanismo che aumenti di un fattore maggiore di 1 l’impatto della spesa pubblica o degli investimenti: spendo cioè 1 ed ottengo m=1+x. Su ogni libro di economia troviamo, dimostrato matematicamente, che il moltiplicatore keynesiano della spesa pubblica è per definizione maggiore di 1. Fare meno di 1 è per definizione impossibile se si aumenta la spesa pubblica effettivamente. Molto del deficit italiano in realtà è dovuto ad interessi passivi sul debito, che sono nel 2019 bel il 3,6% del PIL.
  3. La totalità degli economisti, anche quelli vicini al governo, denuncia nella manovra una decisa carenza di investimenti e di misure per incrementare la produttività. Senza aumentare la produttività è impossibile che il PIL cresca a ritmi sostenuti e che «il debito si ripaghi da solo», così come piaceva dire ad un esponente del governo di primissimo piano. È pressoché impossibile dire che si è fatto una manovra di crescita senza investimenti. Sono gli investimenti ad aumentare la produttività, vero tasto dolente della nostra economia. I tagli agli investimenti dopo l’accordo con la UE riguardano invece circa 2,530mld di investimenti (2,25mld di investimenti pubblici mentre 392mln è il calo degli incentivi agli investimenti privati sostenuti con tassazione agevolata, in particolare per beni strumentali ed Impresa 4.0). Gravi in particolare gli ulteriori 600mln tolti a Ferrovie (in totale 2,3mld rispetto alla manovra 2018), che erano destinati al trasporto pendolari, e che sono una delle poche voci che sarebbero state davvero tradotte in pratica. Sono tolti 850mln dal Fondo di Cofinanziamento Nazionale per gli investimenti. Questo è il fondo di contribuzione ai finanziamenti dell’UE. I fondi europei funzionano come cofinanziamento: lo Stato italiano, per accedere ai finanziamenti europei, deve aggiungere lo stesso importo richiesto alla UE. Solo che togliere 850mld dal Fondo di Cofinanziamento significa aver perso 850mln di Fondi Europei: il danno agli investimenti è di 1,7mld. 700mln tolti dagli Fondo Investimenti delle Amministrazioni Centrali (scorporati quindi dal calcolo del deficit) dovrebbero essere recuperati come “flessibilità” dai Fondi Europei per il dissesto idrogeologico. Al netto di tutto questo, secondo il rapporto dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nel 2019 i fondi complessivi per investimenti (spesa in conto capitale), anziché aumentare di 1,4mld come era nella manovra originaria, diminuiscono nel 2019 di 1mld in valore assoluto rispetto a quanto predisposto dai bilanci passati. Questo significa che la crescita degli investimenti tra il 2018 e il 2019 passa dal 4,1 al 2,4 per cento del PIL: gli investimenti decelerano e la loro crescita (dovuta alle politiche degli anni precedenti) è frenata dalla manovra attuale. Il trend di taglio agli investimenti è costante nella politica economica degli ultimi anni. In particolare quest’anno però, è fatto per privilegiare la spesa corrente e pensionistica. Di questo passo non c’è alcuna speranza di crescere ed aumentare la produttività. Il governo mette circa solo 1mld per il venture capital nelle start up tecnologiche (la Francia – che è già più avanti di noi – 10 volte tanto). Inoltre riduce i fondi per apprendistato e alternanza scuola lavoro. Esattamente il contrario di Germania e Svizzera.

  4.  Alle cosiddette “misure bandiera” vengono tolti 4,6mld: 1,9 al “reddito di cittadinanza” e 2,73 alla “quota 100”. Ma restano 11,5mld (7,1+4,5) di spesa in forma di sussidi di redistribuzione da chi lavora a chi non lavora o è in pensione.
  5. Per coprire le spese correnti in deficit il governo è stato costretto a promettere clausole di salvaguardia per i 3 anni a venire: ciò significa una restrizione di bilancio, ossia 38mld di nuove tasse certe (in termini di aumento IVA o sostituite da altre tasse o tagli di spesa): 9,41 nel 2020, 13,183 nel 2021, 15,9 nel 2022. Questo è l’aumento di imposte da aggiungere a quelle già previste a bilancio dai governi precedenti: l’ammontare delle nuove imposte nel trienno sarà dunque di 81mld (23+29+29). Questo più che compensa la presunta espansività della manovra presente. Non c’è alcun dubbio su questo: per pagare le pensioni e il reddito di cittadinanza in deficit oggi dobbiamo prepararci a nuove tasse domani. Questo punto è sottovalutato: la correzione del debito il prossimo anno sarà draconiana. E ciò abbatte la crescita. L’economista si chiede: ma non sono forse i costi molto maggiori dei lievi benefici di oggi? Non conveniva un programma più prudente, spalmando gli interventi “politici” in modo più “delicato”? Come farà a sopravvivere un’economia gravata di nuove tasse per pagare i debiti fatti oggi, che però, per stessa ammissione del governo, non daranno una crescita vera e duratura?

Infine, sempre l’economista ricorda che, causa crescita dello spread, ci siamo mangiati quest’anno circa 2mld, l’equivalente di quanto è stato tagliato per il reddito di cittadinanza. Nel complesso diventano 11,5mld da qui ai prossimi 10 anni, se lo spread tornasse immediatamente ai livelli marzo 2018. Ma se lo spread rimane per tutto il 2019 del 1,2% più alto rispetto al giorno delle elezioni, significa circa 4mld di altre spese in più (oltre agli 11,5) per interessi nel solo 2019: l’equivalente di “quota 100”. Quando il ministro Tria dice a Porta a Porta del 19 dicembre che lo spread scenderà e «recupereremo 2 miliardi», gli vorremmo ricordare che non li abbiamo risparmiati rispetto al livello di partenza, ma che al massimo conterremo le perdite, che comunque ci sono già state e ci saranno nel 2019. Senza contare la perdita secca sul patrimonio finanziario a causa della svalutazione dei titoli nel portafoglio delle famiglie (85mld secondo Banca d’Italia https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-11-23/bankitalia-calo-btp-ridotta-ricchezza-famiglie-151324.shtml; 244 secondo la Fondazione Hume). Tutto questo solo per aver sfidato a tenzone UE e mercati.

 

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